Negli ultimi anni la cultura è stata oggetto di maggiore attenzione da parte di economisti e policy maker. Se un tempo il leitmotiv era “con la cultura non si mangia”, ora viene considerata, in modo pressoché unanime, un importante driver di sviluppo per l’economia del Belpaese. In Italia infatti, più che altrove, l’intersezione tra cultura e manifattura rappresenta sia un lascito del passato sia una chiave per il futuro.
Il sistema produttivo culturale nel nostro paese può contare su un immenso patrimonio storico, artistico e culturale, in larga parte di proprietà pubblica. In ambito culturale il soggetto pubblico riveste pertanto un ruolo rilevante, occupandosi sia della produzione di servizi che della conservazione del patrimonio.
Il quadro che emerge dall’analisi storica dei dati dei Conti Pubblici Territoriali è tutt’altro che roseo. Se nel 2000 la spesa pubblica [1] pro capite per “cultura e servizi ricreativi” ammontava a 323 euro, nel 2016 è scesa a 143 euro. Il calo è risultato diffuso su tutto il territorio nazionale, eccetto la Valle d’Aosta, e ha penalizzato più il Mezzogiorno (-6,2% medio annuo) che il Centro-Nord (-4,5% m.a.). La dinamica è stata tendenzialmente cedente in tutto il periodo considerato, ma se fino al 2007 la spesa ha mostrato andamenti alterni restando prossima ai 300 euro pro capite, nel post crisi è diminuita arrivando quasi a dimezzarsi (Fig. 1).
In questo scenario timidi segnali positivi si scorgono a partire dal 2015 quando la spesa pro capite registra una crescita dell’1,1%. A livello territoriale le dinamiche risultano molto disomogenee con andamenti particolarmente favorevoli per alcune regioni del Mezzogiorno che complessivamente evidenzia una crescita del 9,6%. Gli aumenti a doppia cifra registrati in Campania, Puglia, Basilicata e Calabria dipendono probabilmente anche dalla fine del ciclo di programmazione dei fondi europei 2007-2013 che impone la chiusura delle spese entro il 2015. Nel Centro-Nord la spesa pro capite destinata alla cultura risulta in crescita solo nel 2016 (+2,3%) con aumenti diffusi in quasi tutte le regioni e in particolare in Veneto, PA di Bolzano, Liguria e Friuli Venezia Giulia. Nello stesso anno la dinamica del Mezzogiorno torna ad essere cedente (-7,5%) dando luogo ad una variazione negativa pari allo 0,6% a livello nazionale (Fig. 2). Nel 2016 lo scenario internazionale relativo alla spesa pubblica per funzione colloca l’Italia tra le ultime posizioni della classifica, con una spesa per la cultura pari allo 0,8% del PIL, contro l’1% della media dei paesi UE. Quote inferiori si riscontrano solo in Portogallo, Regno Unito e Irlanda (Fig. 3).
La geografia regionale evidenzia una forte erosione della spesa pro capite destinata alla cultura in quasi tutte le regioni (Fig. 4). Nel periodo post crisi solo Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige riescono a mantenere in media una spesa superiore ai 400 euro pro capite e solo Lazio e Friuli Venezia Giulia superano la soglia dei 250 euro pro capite. Tali dinamiche hanno favorito il Centro-Nord a svantaggio del Mezzogiorno: nel 2000 il primo assorbiva il 66% delle risorse per la cultura avendo il 64% della popolazione nazionale, nel 2016 le risorse assorbite arrivano al 73,3% con il 65,7% della popolazione. A fine periodo al Mezzogiorno resta il 26,7% delle spese per la cultura a fronte del 34,3% della popolazione residente.