Tra tensioni commerciali in riduzione e produzione industriale europea al palo, la politica economica italiana risulta incerta, e il miglioramento suggerito dagli indicatori congiunturali potrebbe svanire senza interventi più strutturali sulla crescita.
Queste le principali previsioni del Rapporto di
dicembre 2019:
Nonostante la contrazione dell’attività industriale nel quarto trimestre 2019, prevista dai modelli nowcasting Prometeia, il Pil si chiuderà a +0,2% grazie alla revisione dei dati Istat (rispetto al +0,1% previsto a settembre), mentre la stima 2020 è leggermente rivista al ribasso, a +0,5%. Pesa l’incertezza politico-economica: frizioni nella maggioranza e partite non ancora definite come Ilva e Alitalia. Un sostegno alla crescita nel 2020 non arriverà da una vera manovra espansiva ma da una ricomposizione delle poste di bilancio. Le famiglie risulteranno favorite dagli effetti redistribuitivi di alcune nuove misure, come la riduzione del cuneo fiscale e alcuni trasferimenti, Quest’ultimo, che andrà a regime nel 2020, nell’anno in corso ha aumentato i trasferimenti di 3 miliardi rispetto al Reddito di Inclusione. Un leggero impulso, oltreché dai consumi, arriverà anche dagli investimenti: crediti di imposta, detrazioni maggiorate per ecobonus e ristrutturazioni. La ripresa del Pil tornerà a sfiorare cifra tonda (+0,9%) solo nel 2022, senza comunque raggiungere i livelli pre-crisi su tutti i principali indicatori macroeconomici.
La ripresa dei colloqui Usa-Cina ha alleggerito le tensioni mondiali, con i mercati finanziari che scommettono sull’accordo tra le due grandi potenze. Ma permangono frizioni che coinvolgono anche altri paesi e contribuiscono a mantenere relativamente bassa la crescita del commercio mondiale: i modelli Prometeia ne stimano una ripresa negli ultimi mesi dell’anno, ma il 2019 si chiuderà in sostanziale stagnazione (+0,3%, +1,4% nel 2020). Sul fronte delle politiche economiche Usa e Cina stanno esaurendo i margini di manovra: il disavanzo federale di bilancio Usa raggiungerà alla fine dell’anno il 4,2% del Pil, e il debito è destinato a superare il 110% nel 2020. In Cina il debito totale dell’economia ha raggiunto il 300% del Pil.
In Europa il contesto è diverso: cala la produzione industriale ma ci sono diversi paesi come la Germania che hanno ampio spazio fiscale per stimolare la crescita. La locomotiva tedesca ha programmato una riduzione del risparmio pubblico di 0,4 punti percentuali nel 2020, non tanto via maggiori investimenti quanto attraverso un mix di aiuti e defiscalizzazioni per famiglie e imprese.
Banche centrali: la Fed da metà settembre è intervenuta d’urgenza con un’iniezione di liquidità di oltre 240 miliardi di dollari nel mercato interbancario Usa. Interventi temporanei nelle dichiarazioni, che lasciano però aperti gli interrogativi sull’evoluzione della politica monetaria Usa. In Europa, la neopresidente Lagarde ha confermato le linee di politica monetaria della Bce, ha ribadito l’importanza del completamento dell’unione bancaria e del mercato dei capitali e la necessità di un contributo più significativo da parte della politica fiscale. Entro il 2020 sarà conclusa una revisione della strategia di politica monetaria.
Prometeia ha analizzato se i dazi americani sui prodotti importati dalla Cina hanno favorito le esportazioni dell’eurozona. I principali paesi dell’area hanno registrato da inizio anno un aumento delle esportazioni che non può però essere principalmente ricondotto a effetto sostituzione o “trade diversion”: i prodotti europei dove maggiore è stato l’amento recente non hanno sostituito i prodotti cinesi soggetti a più alti dazi. Sembra, invece, che questi prodotti abbiano seguito criteri diversi, come il timore di dazi Usa più alti in futuro. Solo alcuni prodotti della meccanica e del settore automobilistico hanno beneficiato in misura rilevante di effetti di trade diversion: in questo contesto la specializzazione produttiva della manifattura ha favorito in particolare Germania e Italia.