Il nuovo report di Prometeia si focalizza sull’importanza dei marchi in 5 settori strategici per il Made in Italy
(agroalimentare, sistema moda, sistema casa, auto e componenti, sport e tempo
libero).
Nel complesso il
fatturato generato dalle imprese a marchio (oltre 20.000 nei comparti
considerati) vale oltre 165 miliardi di euro, il 60% del giro d’affari dei
rispettivi settori. Negli ultimi dieci anni le imprese a marchio hanno già
recuperato i livelli di fatturato di prima della crisi e viaggiano oggi su
margini migliori delle altre imprese (quasi un punto il rapporto tra EBITDA e
ricavo).
Per ogni settore il rapporto individua le
imprese meglio performanti guardando sia ai risultati economici (livello di
fatturato e crescita nell’ultimo triennio) sia l’interesse raccolto dal
marchio sulla rete (volume assoluto delle ricerche e loro variazione nel
tempo). Emerge un quadro variegato del Made in Italy, con i grandi brand a
trainare vere e proprie filiere del lusso, ma anche piccoli operatori
specializzati che hanno saputo intercettare trend emergenti di mercato
(ambiente e salute in particolare) o segmenti di clientela (millenials).
L’utilizzo di tecniche di web analytics ha inoltre fatto emergere parole e concetti
maggiormente associati ai marchi italiani nelle ricerche in rete. È il caso per esempio dell’attenzione alla salute che caratterizza
i migliori brand dell’alimentare, della forte attenzione al territorio
d’origine che guida le scelte degli utenti nell’ambito della moda e del sistema
casa, o di performance e qualità dei materiali nel mondo dei motori e dei
prodotti sportivi.
Prometeia ha stilato un elenco dei 30 mercati maggiormente attrattivi guardando
ai valori effettivi del venduto, ma anche all’interesse che le imprese
raccolgono nell’ambito di ricerche web di quegli stessi paesi. Valgono nel
complesso 120 miliardi di euro e nei prossimi cinque anni aumenteranno la loro
domanda potenziale di quasi 20 miliardi. Tra questi ci sono conferme e mete
emergenti per il made in Italy.
Europa, Stati Uniti e
Cina guidano la classifica delle vendite così come delle ricerche on line e
nei prossimi 5 anni aumenteranno i loro acquisti di oltre 10 miliardi.
India, Brasile, Turchia, Messico e
Australia acquistano invece made in Italy assai meno di quanto lo cercano
on line. Si tratta spesso di mercati di frontiera
dove l’interesse nel web anticipa il superamento di quei vincoli reddituali che
avevano finora limitato la domanda effettiva e indica il loro potenziale di
medio periodo.
Al contrario non mancano paesi dove il livello delle
importazioni è relativamente superiore alla presenza sul web, indice del
bisogno di rafforzare le strategie digitali delle imprese italiane. È il caso
soprattutto dei mercati asiatici, Giappone
e Corea in particolare, dove le caratteristiche dei siti aziendali (dalle
barriere linguistiche ai tempi di caricamento delle vetrine digitali) possono
frenare il consumatore, un gap che se non affrontato rischia di minare il
potenziale delle imprese italiane.
Il rapporto è organizzato attraverso cinque capitoli settoriali e completato da 21 schede di approfondimento dedicate ai principali prodotti all’interno di ogni settore. In particolare per le imprese con marchio depositato, i grafici e le figure dei capitoli settoriali descrivono:
In appendice di ogni capitolo le schede replicano a livello di comparto quanto riportato nel primo e negli ultimi due punti, integrando con:
L’analisi della performance economico finanziaria delle imprese guarda in particolare all’evoluzione del fatturato e del ROI delle imprese con marchio individuate attraverso l’archivio organizzato dalla World Intellectual Property Organization. La fonte dei dati finanziari è l’archivio Prometeia dei Bilanci aziendali costruito a partire da flussi dati forniti da Bureau Van Dijk. Il dato settoriale nel 2018 è stimato sulla base dei bilanci già disponibili e del modello di previsione Prometeia per i settori industriali.
Le parole chiave, l’individuazione dei marchi di successo, i paesi più attivi nella ricerca on line sono identificati attraverso l’archivio di Google e gli strumenti di text analytics.