Alessandra Betocchi, Rita Romeo
Il tasso di deterioramento (o di default) del credito è il rapporto fra i flussi di credito entrati per la prima volta in default nel trimestre e lo stock di crediti non in default nel periodo precedente [1]. Il concetto di default è più ampio di quello di sofferenza, in quanto tiene conto anche del passaggio a stadi di difficoltà creditizia meno gravi (scaduti e inadempienze probabili).
Rispetto agli indicatori che considerano le sole sofferenze, il tasso di default del credito è più elevato nei momenti di debolezza dell’economia e più reattivo a variazioni di ciclo economico, in quanto misura problemi di qualità del credito già dalle prime fasi di fragilità del contesto economico (Fig. 1) ed è meno influenzato da passaggi di stato “anomali” (ad esempio crediti dubbi che vengono classificate come sofferenze per esigenze di vigilanza).
Durante la crisi che ha colpito l’economia italiana nel 2009 e nel 2012-2013, il tasso di default ha avuto un brusco incremento, soprattutto con riferimento all’indicatore calcolato sui volumi di credito, in grado di misurare l’impatto che il peggioramento della rischiosità può avere sui bilanci delle banche [2].
Con il miglioramento dello scenario macroeconomico, soprattutto dal 2015 il tasso di default si è progressivamente ridotto fino a un livello storicamente molto basso e inferiore alla fase pre-crisi, a riprova che le politiche di offerta selettiva attuate dalle banche negli ultimi anni e la riduzione degli importi erogati hanno prodotto coorti di creditori meno rischiosi. Su questo poi hanno svolto un ruolo importante i tassi d’interesse straordinariamente bassi, che hanno favorito la sostenibilità del debito per famiglie e imprese.
Dall’analisi settoriale sui tassi di deterioramento emergono differenze tra famiglie e imprese in termini di rischiosità e reattività al ciclo economico (Fig. 2). Rispetto alle imprese, infatti, il credito alle famiglie ha un grado di rischiosità relativamente esiguo e minori volumi di credito. Nelle prime fasi di crisi, la rischiosità delle famiglie peggiora, ma meno di quanto accada per le imprese, anche per effetto dei numerosi interventi attuati da banche e istituzioni a supporto della sostenibilità del debito. Negli ultimi trimestri il tasso di deterioramento delle famiglie si è stabilizzato su livelli molto bassi, sensibilmente inferiori ai valori pre-crisi.
Contrariamente, il tasso di deterioramento del credito alle imprese subisce un significativo peggioramento negli anni di crisi, rimanendo per qualche anno su livelli elevati, sebbene in significativa riduzione dato il graduale miglioramento dell’attività economica [4].
Infine, come evidenzia l’indicatore Prometeia di diffusione della rischiosità (calcolato come percentuale dei settori per i quali nel trimestre di riferimento c’è stato un peggioramento), nelle fasi più acute di crisi il deterioramento della rischiosità è diffuso tra tutti i settori produttivi (Fig. 3). La diffusione si riduce negli ultimi anni, anche per effetto alla selezione operata dalla crisi, che ha lasciato in piedi le imprese più sane e con redditività più solida. Anche se nell’ultimo trimestre (giugno 2019) qualche segnale di tensione è tornato ad affacciarsi.
La bassa crescita economica prevista per il 2019, nonostante gli effetti positivi di bassi tassi d’interesse, dovrebbe mantenere stabile il tasso di default delle imprese sui livelli del 2018. Le attese di un ciclo più espansivo dal 2020 dovrebbe favorirne la discesa, sebbene l’applicazione della nuova definizione di default imposta dall’EBA potrebbe “alterare” l’indicatore, visto che considera anche crediti precedentemente classificati in bonis [5].
I flussi esigui di nuovi crediti deteriorati degli ultimi trimestri sembrano suggerire che la selezione operata dalla crisi nel tessuto produttivo e le politiche di offerta abbiano generato portafogli crediti meno rischiosi. Pertanto un eventuale peggioramento dello scenario economico potrà avere sulla qualità del credito e sui bilanci delle banche effetti più contenuti rispetto al passato.